CAMBIANO NOME GLI HIMMLER ISRAELIANI

Maurizio Blondet

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  1. AdamClayton
     
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    La Procura militare dell'esercito israeliano ha decretato che gli alti ufficiali e i piloti d'Israele, quando vanno all'estero, verranno forniti di nomi falsi per sottrarli all'arresto come criminali di guerra.
    La misura è stata presa dopo che il generale Doron Almog, che stava per atterrare a Londra ai primi di settembre, ha saputo di essere atteso sotto la scaletta da agenti di Scotland Yard: arrivati per arrestarlo per varie atrocità commesse contro i palestinesi di Gaza.
    Doron è fuggito alla cattura restando sull'aereo El Al, e ripartendo qualche ora dopo senza essere sceso a terra.

    La cosa sta preoccupando molto i generali, che usano andare a fare shopping a Parigi e a Londra, o in conferenze presso le comunità ebraiche a Milano e ad Amsterdam; o anche nelle case che possiedono in Europa (gli alti gradi israeliani mantengono una doppia cittadinanza: per Israele piace uccidere, più che viverci).
    Così, il decreto della Procura Militare è in via di rapida attuazione.
    Ai potenziali criminali di guerra saranno forniti passaporti falsi coi nomi falsi.
    Gli interessati riceveranno uno speciale addestramento sull'uso dei nomi falsi.
    Viene spiegato che i falsi nomi saranno «abbreviazioni» dei nomi veri.
    Ma la Procura ha già raccomandato ai giornali ebraici di indicare solo con le iniziali gli ufficiali dei gradi più alti, come quelli dello Stato Maggiore (1).

    Riprende così, paradossalmente, un'antica tradizione ebraica.
    Gli ebrei non hanno tradizionalmente un cognome (gli individui, come fra gli arabi, sono indicati come «figlio di», «ben» in ebraico, «bin» in arabo: confronta Osama bin Laden) ed hanno preso spesso come cognome il nome della città dove abitavano («Ferrara») o del luogo («Luttwak» significa «Lituano»).
    Del resto erano denominazioni posticce, per essenza caduche.
    Spesso gli ebrei della diaspora cambiavano nome quando si insediavano in qualche nuovo luogo: così gli «americani» Warburg dell'omonima famiglia bancaria, nel '600 in Germania si chiamavano Kassel, e nel '300 a Pisa, Del Banco (inventarono la girata degli assegni).

    Allora come oggi poteva essere utile creare qualche confusione sull'identità o, come recita il foglio procedurale per i cambiamenti di nome appena emesso dalla Procura militare, «spegnere le luci di casa».
    Ma questa è storia antica.
    Incalza la cronaca.
    I media mondiali ci hanno mostrato con grande attenzione i pianti dei diecimila «coloni» talmudici sloggiati da Gaza, e le lacrime dei soldatini che li cacciavano.
    Ha luogo in questi giorni nel massimo silenzio, invece, la colonizzazione ebraica a ritmo accelerato della Cisgiordania («Giudea e Samaria» per i talmudici).

    Secondo l'Ufficio centrale di statistica israeliano, l'acquisto di nuove case in quella zona da parte degli ebrei è cresciuto del 38% tra gennaio e giugno; in Gerusalemme vecchia, addirittura del 52,5 % (2).
    Ciò contrasta notevolmente con la situazione a Tel Aviv, dove l'acquisto di nuove case è calato del 19 %: evidentemente gli ebrei vanno ad ammassarsi nelle «zone bibliche» (Tel Aviv è una città non citata nella Bibbia, creata nel 1947), e di preferenza nelle zone contestate, per modificarvi a loro favore l'equilibrio demografico.
    Il 25% di tutte le case invendute in Israele sono a Tel Aviv, mentre quelle invendute in «Giudea e Samaria»; ossia nella Cisgiordania palestinese, sono solo l'1% del totale.
    Il trasferimento di massa nelle aree bibliche corrisponde alla politica di Sharon, che ha abbandonato Gaza solo per non cedere la Cisgiordania.

    Il regime ebraico ha fretta, vuole battere il ferro finché è caldo: liberatasi (grazie alla Casa Bianca) del nemico potenziale iracheno, ora la lobby preme scompostamente per l'eliminazione della Siria, onde poi obbligare gli americani ad occuparsi dell'Iran. Al punto, scrive Haaretz (3), che il Dipartimento di Stato - ossia Condy Rice - ha chiesto ad Israele di non intromettersi nelle pressioni che gli USA stanno esercitando sulla Siria.
    Ciò in seguito a dichiarazioni pubbliche di personalità israeliane che stanno ripetendo che la Siria «è un pericolo per il mondo intero»; e recentemente hanno lamentato di non essere state informate che il Dipartimento di Stato USA ha offerto (senza il loro consenso evidentemente) al dittatore siriano Assad junior, per salvare il suo regime, un «pacchetto tipo Gheddafi».

    Di che si tratta? Semplice.
    Come il libico Gheddafi è riuscito a tornare agli onori del mondo, e a farsi levare l'embargo, dichiarandosi colpevole di una strage non commessa (l'aereo caduto a Lockerbie nel 1988), così Bashar Assad potrebbe tornare pulito se ammette di aver ordinato l'uccisione del primo ministro libanese Rafik Hariri, di tenere lontani i suoi servizi segreti dal Libano e di cessare ogni appoggio ad Hamas, Hezbollah e alla «insorgenza irachena».
    Come mezzo di pressione, gli USA hanno appena vietato l'accesso della Siria alla World Trade Organization (WTO) e l'Unione Europea ha seppellito un accordo di associazione della Siria alla UE.

    Il punto è che Condoleezza Rice valuta che, provocando la caduta di Assad, si creerebbe in Siria un'altra area di instabilità permanente, ciò che per il momento il Dipartimento di Stato vuole evitare.
    Israele e le sue lobby vogliono invece la caduta di Assad senza se e senza ma, perciò fanno le dichiarazioni pubbliche che sono spiaciute in USA: la Rice ha consigliato di abbassare il volume, anche per non far vedere troppo che gli americani agiscono su ordine di Sharon.
    L'attentato omicida contro il premier libanese Hariri ha messo nei guai Assad, anziché giovargli: al punto che non pochi si chiedono perché proprio lui avrebbe dovuto ammazzarlo, con un attentato sofisticato e clamoroso, che ha avuto come risultato la smobilitazione siriana dal Libano, sotto viva pressione internazionale.

    La cosa si è complicata con lo strano «suicidio», giorni fa, di Ghazi Kanaan, ministro degli interni siriano, che comandava i servizi segreti siriani in Libano.
    A Detlev Mehlis, l'investigatore ONU sull'assassinio di Hariri, Kanaan aveva detto, durante una deposizione, di essere amico personale di Hariri.
    La notte prima del «suicidio», una TV libanese aveva riferito che Kanaan aveva confessato a Mehlis di aver ricevuto milioni di dollari da Hariri; Kanaan aveva protestato, negando tutto in una telefonata in diretta alla radio «Voix du Liban»: due ore dopo era morto «suicida».
    Da chi suicidato?
    Circostanze tutt'altro che chiare.

    Gli israeliani dicono ora che la morte dell'ex capo dei servizi fa comodo ad Assad, che adesso potrà gettare sul defunto Kanaan tutte le colpe dell'attentato ad Hariri.
    Ma questa catena di morti, attentati e presunti suicidi sta indebolendo proprio la posizione di Assad.
    Cui prodest?
    Converrà ricordare che il Mossad dispone di apposite squadre d'assassinio, i kidon, per certe operazioni.


    Note
    1) «Israel confess its crimes», Times of Oman, 16 ottobre 2005.
    2) «Transfer: Jews moving into Jerusalem, Judea and Samaria», Arutz Sheva, 2 ottobre 2005.
    3) Yoav Stern, Aluf Benn e Amos Harel, «US asks Israel to keep out of efforts to pressure Syria»; Haaretz, 16 ottobre 2005.
     
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