ricostruzione?

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    Terremoto, all'epoca dell'Irpinia
    le case furono consegnate prima
    "Non credo che siano possibili paragoni al mondo". Così Guido Bertolaso ieri al Tg1 delle otto. Tempi da record, meraviglia mondiale per le casette di Onna, i prefabbricati in legno costruiti dalla Provincia di Trento.
    15 settembre 2009. 162 giorni trascorsi dal sisma 47 casette in legno tipo chalet consegnate. Circa 200 persone ricoverate.

    26 marzo 1981. 122 giorni trascorsi dal sisma, 150 casette in legno tipo chalet (Rubner costruzioni) consegnate a Laviano, Salerno. 450 persone ricoverate.
    Un paragone, almeno uno è dunque possibile. E trent'anni fa non esisteva nemmeno la Protezione civile, non esistevano strade decenti, erano crollati i ponti. Per raggiungere l'Irpinia si impiegarono giorni. Il coordinamento dei soccorsi fu affidato, diciamo cosi, al radiogiornale della Rai. Chi poteva telefonava e dava le indicazioni, urlava il luogo del disastro.

    Si ascoltava la radio per capire dove ci fosse bisogno. "A Balvano, a Balvano! La chiesa è crollata, 80 fedeli sepolti, urlò il conduttore". L'autocolonna prese la direzione di Balvano, ma si scordò di Baragiano, di Ricigliano. Da lì (altri trenta seppelliti) nessuno aveva chiamato...

    Solo i morti di Laviano (300 su 1500 abitanti) sono stati pari a quelli sofferti in tutto il territorio abruzzese. E, per dire del tempo e dell'organizzazione, a Laviano riuscirono a consegnare dopo quasi una settimana tutte le bare occorrenti, e le ultime furono ammassate ai lati di due tornanti di montagna. A dirigere le operazioni di soccorso da Roma fu incaricato Giuseppe Zamberletti. Da solo, quasi a mani nude.

    "Eppure al mio paese le prime case in legno arrivarono già a febbraio, una ventina di alloggi con tutti i servizi - ricorda il sindaco Rocco Falivena - A marzo la metà della popolazione era al caldo, negli stessi chalet che sono sorti ad Onna. Per dire: alcuni di questi ora, anno 2009, li abbiamo trasformati in albergo. A maggio dell'81 tutti gli sfollati, nessono escluso, riuscirono ad avere il salottino, la camera da letto riscaldata, il piccolo patio con giardino. In tutta franchezza quella di Onna mi sembra una zingarata".

    Per capirci. Trent'anni fa ci furono quasi tremila morti, trecentomila senzatetto e un'Italia divisa in due. Alcuni villaggi furono raggiunti e assistiti dai militari ai primi di dicembre dell'80 (il sisma ci fu il 23 novembre), gli ultimi morti furono seppelliti dopo 21 giorni. Malgrado tutto, il sistema di prefabbricazione pesante fu realizzato in trecento comuni e in tempi che, l'avesse saputo, Bertolaso avrebbe definito incredibili, stratosferici, supercosmici.


    http://www.repubblica.it/2006/a/rubriche/p...-bertolaso.html

    Ma questi sono comunisti, non vale.
    Prendiamo un giornale più serio. Non so, sol 24 ore?

    Pezzopane: il progetto non è merito del Governo. «La consegna delle prime case per gli sfollati è un fatto importante – ha commentato il presidente della Provincia dell'Aquila, Stefania Pezzopane - e va sottolineato, ma va rigettato un certo tono di enfasi e di autoreferenzialità. Queste case non erano previste e sono state individuate dopo una mobilitazione dei cittadini di Onna, che non volevano spostarsi. Non sono le case del progetto, non è merito del governo». Stefania Pezzopane ha chiesto a Berlusconi sobrietà, rigore e interventi concreti «perchè se in alcuni momenti siamo stato assecondati, in altri siamo stati usati e strumentalizzati, gente che soffre portata in vetrina per esibire potere e forza di un governo che in molti momenti ha mostrato debolezza. Dalle tende gli sfollati non vanno in case, vanno negli alberghi, le aspettative delle persone sono state disattese. Cerchiamo di lavorare assieme per raggiungere gli obiettivi, ma è sotto gli occhi di tutti che le prime case consegnate sono fatte dalla Croce rossa su intervento della provincia di Trento. Siamo lontano dalle promesse fatte dal governo, ma ci auguriamo che entro novembre, come dice Bertolaso, le case ci saranno per tutti»

    http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4...ulesView=Libero

     
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    è ancora in onda su rai1 silvio? :D
     
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    io lo odio quello,lo odio e basta.non voglio più sentirne parlare.ne ha fatte talmente tante che non ne voglio sentire altre..siamo un paese di idioti.
     
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    L'ABRUZZO SEI MESI DOPO


    Il campo di nessuno sono una dozzina di tende che si fanno compagnia, strette l’una all’altra, in un piazzale che è diventato una discarica, tra brande e cartoni, materassi e barattoli. Tende dove abitano ancora la famiglia indigente, la signora disabile, il tossicodipendente, i paria del terremoto. Il campo di nessuno è quel che resta della tendopoli di piazza d’Armi – il simbolo dell’emergenza: più di 2500 sfollati presenti, per mesi l’antenna di ogni malessere e di ogni collegamento tivù –, smantellata in gran fretta un mese fa, con foglio di via per i residenti, spediti altrove. Verso camere d’albergo e provvisori appartamenti, lontani anche cento chilometri, in attesa del nuovo alloggiamento, quando e se verrà: tutto dipenderà dagli ultimi controlli sul censimento, dalla lista di collocazione, dall’alfabeto (A, casa agibile; B, che necessita lavori; C, maggiori lavori; E, inagibile; F, irraggiungibile) della propria abitabilità. Perché, sei mesi dopo, il futuro è una questione di lettere. E di numeri: 30mila persone da sistemare, di cui 9mila ancora in tenda tra i campi ufficiali, quelli chiusi a metà e l’anarchia di chi l’ha montata davanti a casa sua.

    L'emergenza "inverno" vista da dieci sindaci di L. Pronzato


    You need Flash Player 8 or higher to view video content with the ROO Flash Player. Click here to download and install it. «NON ME NE VADO» - Il campo di nessuno è la risposta allo smantellamento: la resistenza di chi non se ne vuole andare, anche solo per paura, ché le scosse continuano, oppure non può – dovendo accudire un parente – e comunque non se la sente di abbandonare la propria terra e la propria casa, non importa se ridotta a una parvenza. È di nessuno, quel campo, perché la Protezione Civile lo ritiene già chiuso e il comune non se ne fa carico. Non c’è più il posto di Polizia. Non ci sono più volontari. Non c’è più la mensa. «E l’altro giorno non c’era più neanche l’acqua calda, perché quegli irriducibili avevano esaurito pure le ultime scorte di gasolio». A parlare è Pina Lauria, 54 anni, la signora che il 17 settembre s’è asserragliata dentro la sua casa inagibile, pur di restare in città: «Hanno chiuso la mia tendopoli e mi hanno mandato a Castellaffiume, nella Marsica, in attesa dell’assegnazione di una casa. Ma io non voglio e non posso andarmene dall’Aquila: devo pensare ai miei genitori che sono qui in un container e che non avrebbero potuto seguirmi». Ci sono voluti i vigili del fuoco per farla uscire. Adesso dice: «Mi sono trasferita dai miei: cos’altro potevo fare? Questa è protezione incivile e non ne voglio più sapere: l’unica cosa che conta per loro è smantellare i campi dalla sera alla mattina solo perché il governo ha detto che a fine settembre non ci sarebbero state più tende, ma senza curarsi delle ragioni degli sfollati. E di dove finiscono deportati». Deportati? Sono arrivate le casette della Croce Rossa, quelle costruite dal Trentino, a Onna. Ed ecco la prima assegnazione del progetto C.a.s.e (Comitati antisismici sostenibli ecocompatibili) a Cese di Preturo a Bazzano. Insomma, è partita l’operazione alloggiamento, eppure la frase che più ricorre, visitando gli accampamenti – ancora a regime, nonostante la promessa che «a fine settembre niente più tende» – e raccogliendo le storie della gente, lontano dai nastri e dalle cerimonie, è proprio questa: «No alla deportazione ». Sta scritto sulle vetrine di quelli che furono negozi e son venuti giù a pezzi; sulle lenzuola appese lungo le strade; sui comunicati di cittadini come quelli che, la settimana scorsa, si sono ritrovati fuori dalla graduatoria di assegnazione delle C.a.s.e. e hanno protestato «perché ci sono famiglie che figurano due volte e altre inspiegabilmente assenti, pur avendo avuto dei feriti».

    I MESSAGGI PRIMA DI LASCIARE IL CAMPO - Anche i terremotati di Piazza d’Armi, prima

    dell’addio, hanno lasciato i loro saluti sulle gradinate della pista di atletica. Dice un messaggio tra i tanti, che sembra il bollettino di un’ultima scossa al morale: «h 16.15. Dep. in G.d.F., non c’è più fine al peggio, speriamo bene, 5.09.09». Possibile che finire a Coppito, nella scuola della Finanza, dove ha dormito pure Barack Obama, sia una deportazione? «Sì, qui sei sempre sotto il loro controllo, come se avessi fatto qualcosa di male», piange la signora che resta senza nome, per paura di sentirsele rinfacciare queste sue parole. In realtà, quello che fa più paura ai terremotati, in questi giorni di smantellamenti e assegnazioni, è la diaspora. Non solo la propria deportazione, ma quella di tutti, di tutto un paese. Sì, le case sono andate giù e certi centri storici, come Camarda o San Gregorio, sono diventati un’unica «zona rossa», epperò le tendopoli montate a un passo dal proprio passato hanno tenuto insieme le famiglie, i bambini, gli anziani. Ancora quest’estate, i viali di tela blu sembravano comunque strade di paese: abitate, vive. Ma adesso che i villaggi blu spariranno e le persone verranno spedite, da qui a dicembre, tra la Marsica e la costa o anche in alberghi diversi dell’Aquila, la gente sente che anche il tessuto sociale, come le loro case, si spezzerà.

    «ABBIAMO FATTO UN MUTUO PER COMPRARE UNA CASETTA DI LEGNO»
    «È per questo che non ce ne siamo andati ad Avezzano o dove ci volevano mandare e abbiamo detto alla protezione civile: grazie, ma facciamo da noi e qui restiamo. E pazienza se il contributo per

    “l’autonoma sistemazione” è di appena 600 euro al mese». Marilena Iovenitti indossa una maglia nera con un cuore argentato dove è stampato I love L’AQ e, sotto, la data del 6 aprile, la notte che la sua vita è cam biata. La signora ha resistito sei mesi in tenda assieme alla famiglia: figli, sorella, nipoti, mariti, genitori e il nonno disabile di 99 anni. In dieci in 20 metri quadrati. Figurarsi, allora, se lascerà Camarda, «anche perché la casa che ci sarebbe toccata, a Paganica, sarebbe stata una delle ultime a essere assegnata: hanno sbagliato a mettere giù una piattaforma e hanno ricominciato daccapo». Così gli Iovenitti hanno fatto una gita a Pineto, hanno comprato una casa in legno di 80 mq, e hanno deciso di fare da soli. «Qui, sotto il Gran Sasso, l’inverno ti arriva addosso da una notte all’altra, eppure avremmo resistito ancora. Però ci mandavano via dalla tenda e allora siamo andati in banca e abbiamo fatto un mutuo, visto che avevamo un po’ di terreno». Eccola qui già in piedi, a un passo dalla tendopoli. «Ci è costata 32mila euro, l’abbiamo montata in due giorni. Non è grande abbastanza per dieci persone, ma rispetto alla tenda ci sembrerà di sentire l’eco, quando ci chiameremo da una stanza all’altra. Certo, con un aiuto maggiore...».
    Quello che non capiscono le famiglie che in qualche modo si arrangiano da sole è quel contributo di 600 euro a nucleo di almeno tre persone. Perché resta loro incomprensibile la cifra che lo Stato paga per gli sfollati in albergo: «Ci rimborsano 55 euro a persona al giorno», spiega Alberico Contini, direttore del Federico II a L’Aquila, in gran parte requisito per fornire alloggio provvisorio, fino a quando i moduli abitativi non saranno tutti pronti. Insomma, fino a dicembre, secondo il calendario del governo. «Altro che dicembre», sorride invece Contini «Mi hanno detto che avrò terremotati in albergo ancora per un anno».

    «È COME SE AVESSERO CERCATO IN TUTTI I MODI DI DISINCENTIVARE L’INIZIATIVA PRIVATA» Facciamo un po’ di conti: 55 euro a persona, per un nucleo medio di quattro persone, fa 6mila e 600 euro al mese. Tanto costa il loro mantenimento: dieci volte quello che

    riceve una famiglia che si arrangia da sola, in affitto o acquistando un prefabbricato. «Sì, uno spreco. Ed è come se avessero cercato in tutti i modi di sponsorizzare queste nuove case, disincentivando il fai-da -te», spiega Vincenzo Vivio, architetto nato a Paganica e residente all’Aquila con la sua famiglia, la moglie e sei figli, prima che il terremoto gli stravolgesse la vita. «Purtroppo nelle nuove case non sono previsti appartamenti per le famiglie numerose. Come ci siamo arrangiati? Una figlia vive a Londra. Altri tre stanno con me qui, ad Assergi, nell’albergo Fiordigigli che ci è stato assegnato. Mia moglie invece ha trovato lavoro a Pescara ed è lì con Cesare e Pietro, che frequenteranno sulla costa la quinta e la prima elementare. Con la morte nel cuore sono andato dalla preside a chiedere il nullaosta per il trasferimento e purtroppo non ero il solo: ma come facevo a far vivere due bambini quassù in albergo?» Sicché il signor Vivio farà il pendolare, da un pezzo di famiglia all’altra, senza trascurare il coro che dirige e che ha già cantato alla Rai e nelle tendopoli: «Un modo per stare assieme, per restare comunità. Anche se quello che m’ha fatto più male è stata la storia delle

    case di Paganica. Ah, non lo sa? Il Trentino, ancora mesi fa, ci aveva offerto le stesse casette che sono state consegnate a Onna. Erano un’ottima soluzione per passare subito dalle tende a un tetto, restando assieme. E l’assemblea dei cittadini era orientata su questa scelta e anch’io mi sono battuto per dire “sì”. Fino a quando ha preso la parola Bertolaso, il capo della Protezione Civile, criticando pesantemente il progetto, sponsorizzando le sue C.a.s.e. e arringando la gente ormai disorientata: “Ma voi a Paganica, cosa volete: case o baracche?”. Figurarsi, tutti a gridare: “Le case, le case”. Così io ho rimediato una figuraccia e le cosidette baracche le ha prese, ben contento, il comune di San Demetrio de’ Vestini, dove sono già state montate. Pensi che amarezza quando due settimane fa il presidente del consiglio ha inaugurato quelle di Onna, dicendo: “Sono vere ville”. Prima erano baracche, adesso sono diventate ville e intanto le nuove case di Paganica chissà quando saranno pronte». Il clima è cambiato, nell’ultimo mese, sotto il cielo d’Abruzzo sempre più spesso grigio. E nonostante le assegnazioni delle prime case, non proprio in

    positivo. È il momento più difficile nei rapporti tra Protezione Civile, in uscita, e cittadinanze che tornano sotto la tutela dei loro municipi, perché c’è paura di non veder riconosciuti i propri diritti, di essere scavalcati da amicizie e clientele e soprattutto di non vedere la ricostruzione. Ecco, se c’è una parola che non ritorna è: ricostruzione. «Non è mai cominciata e i soldi che servivano per rifare le nostre case sono finiti per costruire, notte e giorno, quelle provvisorie, mentre il centro storico dell’Aquila resta in un silenzio spettrale, perché?», chiede la lettera inviata, da tre comitati, al presidente Napolitano.
    A Barisciano, l’altra mattina, non si vedeva più in là di un metro e comunque nulla si sarebbe visto perché sopra le piattaforme, pronte per ospitare i moduli abitativi, non c’era nulla, ancora. Tanto che il sindaco ha chiesto alla Protezione Civile di tenere aperta la tendopoli almeno un altro mese. «Noi siamo stanchi, non più di tanti, ma resteremo volentieri. Non si può mandare via, magari lontano, tutta questa gente che è nelle tende e deve curare ogni giorno le bestie che ha nei capanni, perché questo è un paese soprattutto di allevatori », spiega Luigi Cuberli, il capo-campo piemontese del paese che ospita in tenda ancora 380 persone. «Le case? Non so quando saranno pronte. La ditta che ha vinto l’appalto, per questo e altri tre comuni, mi sembra in ritardo. Magari è una piccola azienda e fatica a produrre in poco tempo così tanto da coprire in fretta il fabbisogno. Purtroppo qui siamo a mille metri d’altitudine e il freddo si fa già sentire». Anche se non sembra il solo problema. «Il guaio è che siamo rimasti soli. I carabinieri che presidiavano il campo se ne sono andati e qualche notte fa mi è toccato rincorrere un terremotato che cercava di rubare le provviste. È un tizio che è qui agli arresti domiciliari, dopo cinque anni di carcere. Vede il camper più bello? Quello vicino alla tenda più a sinistra? È il suo. Ma io qui mica posso fare il poliziotto».

    L’ULTIMO GIOCO DEI BAMBINI DELLE TENDOPOLI
    È IL “MONOPOLI” DELLE CASE AGIBILI OPPURE NO - L’impressione è di uno scollamento tra ieri – emergenza garantita alla meglio, vigili del fuoco formidabili, popolazione pronta a sacrificarsi – e domani, quando si comincerà a ricostruire: perché l’oggi che si avvista, tra deportazioni e

    assegnazioni, sembra sospeso in una nuvola di emozioni nuove - senso di abbandono, rabbie, gelosie - davvero complicato da gestire. Anche perché i numeri sembrano non tornare: servono più case di quante si potesse immaginare al tempo delle prime ricognizioni. E allora, ecco venir buoni anche alberghi in posti lontani, appartamenti sfitti che saranno requisiti – anche perché sta partendo un’asta del dolore a prezzi impossibili: strozzinaggi da 1500 euro per un bilocale al quale, con un genitore disabile al fianco, non si può rinunciare –, fino alle case di paglia di Pescomaggiore. «Sì, di paglia. Le balle di fieno arrivano dalla Marsica, noi le pressiamo e poi, abbinate a una lastra di legno da un lato e intona cate dall’altro, eccole diventare parete», racconta l’avvocato Dario D’Alessandro, uno dei curatori del progetto. che salvaguarda il territorio garantendo chi – e sono tanti – ha paura a ritornare, sei mesi dopo, sotto un tetto. Perché il terremoto è un lupo che ti soffia via le certezze, ma al contrario di quello della favola, fa più male alle case di mattoni che a quelle di legno o di paglia.

    «Questa casa è E». «No, è solo F». «Vero che quella è B? Visto che ho indovinato?». È l’ultimo gioco dei bambini delle tendopoli: il Monopoli dei danni, parete per parete, subiti da case che non ripasseranno tutte dal via, ché molte toccherà abbatterle, e con il mazzetto degli imprevisti cento volte più alto di quello delle possibilità. Ma Klaris è troppo piccola per giocare all’alfabeto delle case. Ha solo 5 mesi e poi non esiste: non è contemplata nelle liste e neppure il suo nucleo familiare. «Ci hanno detto che il posto non ci spetterebbe, ma di restare comunque qui e di far finta di niente finché non ci

    diranno di andare via». Qui è una camera d’albergo. Le parole preoccupate sono della mamma di Klaris, Veronica Anatriello. E il ci sono loro due più il marito-papà Belilaj, che fa il muratore. Beh, questa famiglia per l’algoritmo che determina le graduatorie, non esiste. «Klaris è nata il 23 maggio e, come previsto, ci siamo sposati e l’abbiamo battezzata l’8 agosto, quando mio marito avrebbe avuto le ferie. Solo che nell’istantanea del terremoto non c’eravamo: io stavo ancora coi miei, casa A, ma troppo piccola per cinque; mio marito stava coi suoi, casa A, sempre troppo piccola. Difatti, appena nata Klaris, saremmo andati a vivere col nonno, oggi casa E, inagibile: un casa che però non ci viene riconosciuta come residenza. Non esistiamo e non ci spetta nulla». Ché in questa corsa contro il tempo – anche atmosferico – verso un’assegnazione provvisoria, c’è anche chi parte senza pettorale, sperando di arrivare in fondo, in qualche modo. Come la signora Quirina che ha abitato uno scompartimento del Sulmona, uno dei treni inchiodati alla stazione. Ci vivono ancora, i terremotati, ma la signora – che non ha mai voluto abbandonare L’Aquila – ha avuto assegnata una delle C.a.s.e. di Bazzano. E la sua vita, in qualche modo, potrà ripartire dove s’era fermata. Che, per gli sfollati, è l’unica cosa che conta: a costo di restare qualche giorno ancora nella tenda che si vuole smontare, ma garantendo – anche a quelli del campo di nessuno – l’assistenza. Perché ogni attore di questo dramma è una storia a sé: e, a sentir loro, conta solo continuare a resistere, a esistere dove si è vissuto, e poco o niente se il governo, bruciando le tappe, batterà o meno il record del mondo dell’efficienza.

    Cesare Fiumi
    28 settembre 2009
     
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    Il Governo aveva promesso di chiudere i centri provvisori per fine settembre
    Ma sono ancora in seimila ad attendere una nuova casa o l'agibilità per quella vecchia
    Maltempo e temperature a picco
    Emergenza freddo nelle tendopoli




    L'AQUILA - Sono ancora in seimila ad abitare nelle tende. E il vento gelido che arriva dai Balcani rende la loro situazione ancor più drammatica, riportando alla luce i ritardi e le promesse non mantenute. Perché le tendopoli dovevano essere chiuse entro la fine di settembre, ma oggi si sta ancora così, con l'aggravante delle temperature che precipitano a picco e nel solo arco di una nottata, mentre il maltempo flagella mezza Italia e soprattutto l'Abruzzo.

    La protezione civile lancia l'allarme per le condizioni degli sfollati, che vivono ancora in 2000 tende in 60 diverse aree d'accoglienza. Ma intanto il governo parla di "rivoluzione berlusconiana", che non sarebbe altro che "il rispetto degli impegni presi". "Le emergenze sono state affrontate e superate brillantemente" ha dichiarato ieri al Tempo Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo.

    Situazione drammatica. Eppure i ritardi si accumulano e se, con le temperature ancora miti di settembre, la vita nelle tende, seppur difficile, era in qualche modo sopportabile, con il maltempo le condizioni si fanno al limite della sopravvivenza. "Una situazione drammatica", la definisce il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente. "Ora le temperature si sono abbassate notevolmente, è arrivato l'inverno, fa freddo e le montagne si sono innevate. Queste persone vogliono la certezza di una casa".
    E non basta la prospettiva di una stanza d'albergo aspettando tempi migliori. Gli amici, gli affetti, il lavoro: non ci si può sradicare così, protestano gli sfollati.

    Le scuole. E anche le scuole sono ricominciate, sempre nelle tende, che con il freddo si trasformano in celle frigorifere. Già questa mattina un gruppo di genitori dei bambini della scuola elementare di Pianola (80 studenti per cinque classi) ha protestato duramente: "I nostri figli sono costretti a fare lezione con due cappotti addosso, la temperatura tra i banchi è di cinque gradi". Si punta il dito contro la mancata attivazione, nelle vicinanze della tendopoli, dei moduli abitativi provvisori.

    Le promesse. "Prima ci avevano detto che sarebbero entrati in funzione oggi", protestano, "poi ci hanno annunciato che ci vogliono tre o quattro giorni. Ma lì c'è ancora un cantiere. La nostra vita è un caos e i bimbi sono costretti ad andare a scuola in condizioni scandalose". Dalle istituzioni, nessuna risposta. Gli insegnanti incassano le critiche, ma sono impotenti quanto i genitori. Mentre al circolo didattico "non c'era nessuno, rispondeva il fax".

    Ancora provvisori. La protezione civile, intanto, rilancia l'appello ad accettare una sistemazione provvisoria: "Capisco che ci può essere l'orgoglio di rimanere fino alla fine nella tende", spiega il dirigente della protezione civile nazionale Fabrizio Curcio, "ma con l'arrivo di temperature ancora più fredde sarebbe difficile gestire un esodo di massa all'improvviso". E il problema non sono solo le famiglie che hanno avuto le case completamente distrutte, ma anche quelle con abitazioni che potrebbero essere agibili dopo una serie di controlli e riparazioni.

    Almeno le case agibili. Come quella di Alessandra, 29 anni, ospite della tendopoli di San Felice d'Ocre. Questa mattina si è svegliata davanti allo spettacolo del monte innevato. "Bellissimo" commenta "ma sarebbe meglio vederlo da dietro il vetro di una finestra. E invece a sei mesi dal terremoto siamo ancora qui". La sua casa è una "classe B", lesionata solo in parte dal sisma, per la quale si attende solo la conferma dell'agibilità: "Rischiamo di dover aspettare ancora un anno prima di rientrare. Abbiamo scelto di restare vicini all'Aquila per motivi di lavoro, certo non preferiamo le tende a un albergo sulla costa. Oggi andremo alla Guardia di Finanza per chiedere una soluzione".

    Emergenza sanitaria. Ma il freddo porta con sè anche un'emergenza sanitaria. Le stufe elettriche sono insufficienti, nelle tende si soffre il freddo e bambini e anziani hanno bisogno di maggiore assistenza. "C'è bisogno di vaccini antinfluenzali" spiegano da Piana di Navelli "peccato che la maggior parte dei presidi medici allestiti nelle tendopoli sia stata chiusa in anticipo".

    Le previsioni del tempo. Insisterà ancora l'aria fredda da Nord Est d'origine Baltica, una situazione che si protrarrà almeno per i prossimi 7-8 giorni.
    Per oggi sono previsti ancora venti forti, se nono molto forti, provenienti dall'area russo-balcanica. Ad essere colpite saranno soprattutto le regioni adriatiche, la Puglia, la Calabria, lo Ionio, la Sicilia e la Sardegna tirrenica. Il tutto sarà accompagnato anche da piogge residue su Puglia, il Salento le coste del Foggiano, e l'Abruzzo, appunto.

    (13 ottobre 2009)
    repubblica.it

     
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  6. ndruglio
     
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    ma non rompere i coglioni
    adesso facciamo il ponte! iniziamo subito a lavorare
    e chi se ne importa se c'è stato quello che c'è stato
    comunista
     
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  7.  
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    i terremotati li mettiamo sotto al ponte
     
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  8. veddie
     
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    speravo quest'idea malsana, propagandistica e proappaltistica del ponte fosse definitivamente sepolta. e invece, quando meno te l'aspetti, ecco partorita l'ennesima cagata! che entertainer, con lui non ci si annoia mai.
     
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    Berlusconi: "Protezione civile
    mai più in Abruzzo, rischia spari"

    Il premier sull'inchiesta sul mancato allarme: "Finché esisterà l'accusa di omicidio colposo gli operatori non andranno più in zone terremotate".
    Il procuratore: "Lavoriamo rapidamente e nel rispetto della legge"


    ROMA - "La Protezione Civile non si recherà più in Abruzzo finché esisterà l'accusa di omicidio colposo". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo all'Assemblea di Federalberghi, a Roma. E il premier rivela di aver dato disposizione agli uomini della Protezione civile di non recarsi nelle zone terremotate in Abruzzo o, quanto meno, di farlo senza rendersi riconoscibili perché "qualcuno con la mente fragile rischia che gli spari in testa". Il presidente del Consiglio fa riferimento alle recenti vicende giudiziarie sul mancato allarme 1 per il terremoto e rivela appunto di aver "detto agli uomini della Protezione civile di non andare in Abruzzo o almeno di farlo senza insegne o almeno senza rendersi riconoscibili" proprio perché dopo l'apertura di quel fascicolo "rischi che qualcuno che magari ha avuto dei familiari morti sotto le macerie e con una mente fragile, gli spari in testa".

    La replica dei giudici è arrivata per bocca del procuratore della Repubblica dell'Aquila, Alfredo Rossini: "Non entro in polemica. Continuiamo a lavorare come al solito bene, velocemente e rispettando le leggi vigenti". L'inchiesta ha portato all'emissione di sette avvisi di garanzia alle persone, tra cui i vertici della Protezione Civile, che hanno partecipato alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009 a soli cinque giorni dalla tragica scossa. Per la Procura che ha indagato sull'ipotesi di reato di omicidio colposo, la Commissione Grandi Rischi non ha adottato provvedimenti preventivi.
     
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    "Terremoto, ricostruzione perfetta"
    finta aquilana in tv, bufera su Forum

    Figurante reclutata per raccontare il miracolo del governo. Subito smascherata in rete.
    "Pagata trecento euro per leggere un copione". Protesta il Comune

    di GIUSEPPE CAPORALE

    "Terremoto, ricostruzione perfetta" finta aquilana in tv, bufera su Forum Marina Villa
    L'AQUILA - Mediaset manda in onda una finta terremotata pagata 300 euro. Pagata per leggere un copione scritto dagli autori del programma Forum, condotto da Rita Dalla Chiesa su Canale 5. "L'Aquila è ricostruita"; "Ci sono case con giardini e garage"; "La vita è ricominciata"; chi si lamenta "lo fa per mangiare e dormire gratis". Per questo "ringraziamo il presidente..." . "Il governo... ", precisa la conduttrice.

    Marina Villa, 50 anni, nella trasmissione di venerdì si dichiara "terremotata aquilana e commerciante di abiti da sposa" in separazione dal marito Gualtiero. Ed è lì in tv con il coniuge a discutere della separazione davanti al giudice del tribunale televisivo. Ma è tutto finto: lei non è dell'Aquila, non è commerciante, il vero marito è a casa a Popoli, il paesino abruzzese nel quale la coppia vive: si chiama Antonio Di Prata e con lei gestisce un'agenzia funebre.

    L'assessore alla Cultura dell'Aquila, Stefania Pezzopane, ha scritto una lettera a Rita Dalla Chiesa: "Nella sua trasmissione, persone che, mi risulta, non hanno nulla a che vedere con L'Aquila, hanno fatto un quadro distorto e assolutamente non veritiero". Quando scoppia la polemica anche su Facebook, non è difficile rintracciare Marina. "Ma che vogliono questi aquilani? Ma lo sanno tutti che è una trasmissione finta". Si dice, la signora Villa, molto sorpresa dalla rabbia dei terremotati:
    "Ma che pretendono. Io non c'entro nulla. Ho chiesto di partecipare alla trasmissione e quando gli autori hanno saputo che ero abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo. Mi hanno spiegato loro quello che avrei dovuto dire". Marina racconta di essere stata pagata: "Mi hanno dato 300 euro. Come agli altri attori. Anche Gualtiero, che nella puntata interpretava mio marito, recitava. Lui è un infermiere di Ortona. Hanno scelto un altro abruzzese per via del dialetto".

    Ecco il copione di Marina in tv: "Hanno riaperto tutti l'attività. I giovani stanno tornando". Durante il terremoto "sembrava la fine del mondo, non riuscivo a capire se era la guerra, la casa girava. Si sono staccati i termosifoni dal muro". Ora invece è tutto a posto: "Vorrei ringraziare il presidente e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente... Tutti hanno le case con i giardini e con i garage, tutti lavorano, le attività stanno riaprendo". Le fa eco la Dalla Chiesa: "Dovete ringraziare anche Bertolaso che ha fatto un grandissimo lavoro". E giù applausi. Mentre Marina aggiunge: "Quello volevo pure dire". "Inizialmente - continua il copione - hanno messo le tendopoli ma subito dopo hanno riconsegnato le case con giardino e garage. Sono rimasti 300-400 che sono ancora negli hotel e gli fa comodo". "Stanno lì a spese dello Stato: mangiano, bevono e non pagano, pure io ci vorrei andare". Ma lei non è dell'Aquila, la notte del 6 aprile 2009 era a casa a Popoli. È stata solo finta terremotata a pagamento per un giorno su Mediaset.

    (28 marzo 2011)
     
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